I vecchi borghi contadini della periferia di Cosenza. Un mondo rurale di cui ancora oggi vi sono evidenti tracce urbane. Borghi che se pur non più abitati, lasciano qualche ormai anziano figlio di quel mondo rurale che ancora oggi resiste. Tra questi, uno ancora esistente nella periferia cosentina, è il Borgo di San Vito. Al centro del borgo, la casa di fattura ottocentesca, a due piani, con ampi magazzini sottostanti, e ampio giardino alle spalle, era abitata dal fattore, che rappresentava il proprietario terriero di allora, la famiglia Quintieri. In seguito, ereditato in parte dalla famiglia Spada, oggi di proprietà della Regione Campania, a seguito del lascito a una fondazione dei ciechi di Napoli.
I vecchi borghi contadini della periferia di Cosenza. La Chiesetta dedicata a San Francesco
Il fattore controllava e raccoglieva tutte le colture riscuotendo la famosa “mezzadria”, ovvero metà raccolto. A fianco, poi vi erano tutte le altre abitazioni, modeste rispetto a quella del fattore, la chiesetta dedicata a San Francesco di Paola con sotto la cripta, dove sono stati sepolti alcuni membri della famiglia Quintieri, e poi la fontana alimentata da una sorgente dove tutti si approvvigionavano dell’acqua, da bere, da trasportare e conservare nei famosi “uzzuli” di terracotta. Tutto il borgo era circondato da un muro con tre entrate, una centrale e due laterali, che portavano ai terreni e alle case fuori dal borgo, con al centro una grande piazza. La sorgente, quasi in cima al colle, poi incanalata, alimentava oltre che la casa del fattore, la fontana comune con le vasche e i lavatoi in pietra per il bucato.
I vecchi borghi contadini della periferia di Cosenza: il frantoio e il parmento
A seguire il forno comune, il “parmento” con le botti per il vino e il frantoio, oggi modificato in un ristorante. Fuori dal borgo anche il mulino a pietra, di cui non resta quasi nulla, alimentato attraverso un canale collegato direttamente al fiume Campagnano. Collegato ad esso una grande vasca di raccolta dell’acqua detta “cibbia”. Una sorta di serbatoio all’aperto che veniva anche usato per irrigare gli appezzamenti di terreni vicini e lungo il canale. Nella piazza al centro del borgo, si svolgeva la tradizionale la celebrazione religiosa e la festa con le classiche “bancarelle”: il tutto accompagnato, dai giochi popolari.
Ogni contadino del borgo aveva assegnato un ettaro di terreno
A distanza di circa un chilometro, poi altre case distanti l’una dall’altra ma tutte attorno al borgo, quasi in senso circolare. Ogni contadino, appartenente al borgo, aveva assegnato un numero di tomolate (ettari) di terreno che confinavano tra loro, ben organizzate con un sistema di irrigazione. I terreni, secondo l’esposizione al sole e la loro qualità, sabbioso o meno sabbioso, cretoso o fertile, erano destinati alle diverse colture. In alcune zone si produceva il grano e poi il trifoglio e la sulla. E poi il mais che a maggio con la mietitura diventava fieno, per il sostentamento degli animali allevati nel borgo. Nelle zone più fertili e irrigate, si piantavano invece gli ortaggi.
Vigneti e alberi da frutta
Ben coltivati e di ricca varietà erano anche gli alberi da frutto. Dalle olive, ai vigneti, alle noci e poi a seguire, ciliegi, albicocche, pesche, loti, melograni e fichi. Da Cosenza al borgo si arrivava dalla strada provinciale che poi raggiungeva i paesi di Castrolibero, Marano Principato e Marchesato. Strada, allora, ben tenuta e con acacie ogni cento duecento metri sui due lati. Non posso non ricordare la ritualità di quel mondo, l’aratura dei terreni in ottobre, la semina, la mietitura del fieno a maggio, quella del grano a giugno con la trebbiatura. E poi, la raccolta delle olive a novembre, e la lavorazione dei salumi con il maiale a gennaio.
Ogni ricorrenza terminava con un pranzo
Tutto con la condivisione e la partecipazione di tutti, con una programmazione che vedeva le famiglie aiutarsi a vicenda e coronata al termine di ogni ricorrenza con un pranzo che diventava ritualità. Un ringraziamento del lavoro condiviso con rispetto e amore fraterno per un mondo dai valori ancora oggi ben saldi, anche se modernizzato grazie alla tecnologia ed mezzi agricoli che si sostituiscono a molti lavori gravosi allora manuali ma con la stessa frequenza, tempi e metodologia. Un posto che sa di vita, dove i miei ricordi si mescolano alla mia infanzia e all’amore familiare nonché alla terra, ai suoi frutti, ai suoi fiori e alle sue bellezze. Torno da uomo in un luogo in cui sono stato felice e respiro ancora oggi, aria di libertà.
( Foto Sante Blasi)