Sant’Antonio da Padova (Lisbona, 15 agosto 1195 – Padova, 13 giugno 1231), è uno dei santi più amati e venerati al mondo. A Grimaldi (Cosenza), come in numerosi comuni della Calabria, il 13 giugno di ogni anno, si svolgono solenni festeggiamenti in suo onore. Pur non essendo il patrono del paese, i grimaldesi nutrono per Antonio un profondo affetto, che manifestano nella grande partecipazione alla tredicina, ai riti e alle espressioni ben radicate della tradizione popolare. Quest’anno, in osservanza alle misure di sicurezza anti-Covid, in paese avrà luogo solo una solenne celebrazione sul sagrato della chiesa.
Sant’Antonio da Padova: l’annuncio dell’inizio delle celebrazioni
Dai primi del mese di giugno, per tredici giorni consecutivi, nella chiesa dedicata al santo, nota come “convento”, i fedeli, richiamati dal suono delle campane, accorrono da ogni rione, per partecipare alle funzioni religiose. L’annuncio dell’inizio della tredicina avviene per mezzo dei tummarinari (tamburinari) che, di primo mattino, lungo le vie del borgo, suonano la grancassa e i tamburi. Il giorno della festa solenne (il 13 giugno se è domenica), la statua, adornata con candidi gigli, è portata in processione, seguita dai fedeli, dalle autorità civili e religiose e dalla banda musicale.
Sant’Antonio da Padova: la distribuzione dei pani benedetti
La mattina del dì di festa, rivive una bella e significativa tradizione: la distribuzione del pane di Sant’Antonio. Nel magnifico chiostro monastico dell’adiacente convento, una folla di fedeli si reca festante, sin dalle prime ore del giorno, per ricevere pani e panini benedetti. Per devozione, gli allevatori locali li offrono alla popolazione, ripieni di ricotta o di guanciale. Questa consuetudine trae origine da uno degli innumerevoli prodigi attribuiti al santo, che si narra in una biografia del 1293.
Dopo la morte di Sant’Antonio, a Padova, un bambino di appena venti mesi, di nome Tommasino, annegò in un recipiente pieno d’acqua, accanto al quale la madre lo aveva lasciato incautamente. La donna, disperata, si rivolse ad Antonio, promettendogli che, se lo avesse resuscitato, avrebbe dato ai poveri tanto frumento quanto il peso di suo figlio. Il miracolo avvenne e diede origine a una tradizione chiamata “il peso del bambino”. I genitori promettevano al santo, in cambio della sua protezione, tanto pane quanto era il peso dei figli. Molti, ancora oggi, chiedono a Sant’Antonio di preservare i loro bambini dalle malattie. Nei giorni delle celebrazioni religiose, i più piccoli indossano l’abito votivo benedetto, che un tempo veniva portato fino al suo completo logoramento e poi bruciato.
La benedizione degli animali
Un tempo, sempre la domenica mattina, fin dalle prime luci dell’alba, contadini e mandriani giungevano dalle campagne circostanti portando greggi, buoi e asini. Partecipavano tutti alla benedizione degli animali, che avveniva sul sagrato. Qui, i buoi venivano fregiati di fiocchi colorati, a cui si appendevano le immagini del santo, insieme a qualche soldino. Terminata la funzione, gli allevatori, in segno di riconoscenza, offrivano al sacerdote ortaggi e altri prodotti della terra.
Questo rituale si richiama alla festa di Sant’Antonio Abate (che si celebra il 17 gennaio), protettore dei maiali, nato nel 251 d. C. Anticamente, gli allevatori offrivano, a Sant’Antonio da Padova, un agnello e delle ricotte. Coloro che possedevano un maiale, invece, preparavano ‘u pignateddru (ovvero riempivano di grasso un vaso di terracotta). Questi contenitori venivano consegnati a una donna del paese, che aveva il compito di raccoglierli e portarli ai frati del convento.
La festa: ‘u cavaddru de’ luminere e le lanterne
Una tradizione scomparsa da oltre cinquant’anni è ‘u cavaddru de’ luminere. La sera della vigilia della festa, una grande fiaccolata illuminava le vie. Nel bel mezzo della fila dei portatori delle fiaccole, si innalzava un cavallo realizzato con canne intrecciate ricoperte da cartapesta e carta velina. Al centro di esso veniva lasciato un foro, perché il conducente potesse inserirvi la testa e, con le mani sui fianchi, imitasse il fantoccio.
Gli artefici di questo spettacolo erano i fratelli Pasquale e Amerigo Rose. Con le canne e la carta velina venivano create anche delle lanterne (o palloni), alla cui base era posto un batuffolo di stoffa impregnato di nafta o benzina. Con estrema cura e perizia, mio nonno, Silvio Malito, dava vita a questi oggetti che, al termine della funzione religiosa serale, venivano lanciati in aria come gesto di buon augurio. La festa si concludeva con i fuochi pirotecnici.
Il giardino di Sant’Antonio
Ma l’amore nei confronti di Sant’Antonio non si esauriva nel giorno della festa. Alle spalle della sacrestia, fin dai tempi in cui il convento era abitato dai monaci francescani, esisteva un giardino dove si coltivavano gigli e rose, denominato, in suo onore, l’orticeddru ‘e Sant’Antoni. Qui i grimaldesi si recavano per vedere crescere i fiori che servivano ad adornare l’altare e, spesso, ne portavano qualcuno a casa.
Oggi, che molti aspetti folcloristici sono scomparsi, resta inalterato il sentimento di fede verso il santo. Morto a soli 36 anni, compì, sin dai primissimi tempi dalla sua scomparsa, prodigi di tale intensità e natura che facilitarono la sua rapida canonizzazione, inferiore a un anno, e la sua proclamazione, nel 1946, a dottore della Chiesa. Trentadue anni dopo la sua morte, in una traslazione, la sua lingua, che tanto diffuse il Vangelo, fu trovata ancora intatta.
(Foto Antonietta Malito)