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Storia dell’Abbazia cistercense di Santa Maria della Sambucina

Sambucina

Storia dell’Abbazia cistercense di Santa Maria della Sambucina La celebre abbazia cistercense, sorge a 870 metri d’altezza, in prossimità di Luzzi luogo che, quando arrivarono i monaci bianchi, era   feudo dei “Lucij”. Il complesso badiale fu costruito sulle strutture di una preesistente abbazia benedettina (Sancte Marie Requisita Nucis), intorno alla metà del XII sec. dai monaci seguaci di San Bernardo da Chiaravalle, affiliazione dell’abbazia di Casamari.

L’Abbazia cistercense di Santa Maria della Sambucina e il fiore di Sambuco

abbazia e Fiore Di Sambuco
Il fiore di Sambuco

La tradizione vuole, che i monaci ne mutarono l’intitolazione, ispirandosi a un’apparizione della Vergine ai frati (o a un pastorello secondo altre fonti) fra le verdi fronde di un sambuco, il cui fiore bianco e profumato è molto usato nella fitoterapia e nella cucina locale con il nome di majiu.  I Cistercensi, arrivarono in Calabria, col compito di latinizzare le popolazioni del luogo legate ancora al rito greco e alla cultura dei bizantini.  Nel 1220, dopo gli ingenti danni causati dal terremoto, ottennero l’autorizzazione papale a spostarsi nella vicina abbazia di Santa Maria della Matina (San Marco Argentano), senza abbandonare il vecchio complesso. Gli stessi religiosi, memori della bellezza del luogo, la utilizzarono per il soggiorno estivo. La visita dell’imperatore Carlo V, non si rivelò proficua per il convento, segnò piuttosto, l’inizio di un inesorabile declino.

Il periodo delle Commende

Nel XV secolo, anche la Sambucina conobbe il periodo delle Commende, con tutti i suoi danni, con la privazione di tutti i beni dell’importante cenobio. Ad ultimare il lavoro compiuto dagli abati commendatari, fu la frana del 1569 che distrusse buona parte della chiesa e della zona conventuale. Questo evento, venne considerato, un castigo divino. L’ordine cistercense, continuò ad aver vita in Sambucina fino al 1780 quando, per ordine di Ferdinando IV, venne soppresso e i beni incamerati dal Demanio, vennero poi rivenduti a privati. Il complesso abbaziale, fu ripetutamente colpito dall’azione nefasta dei terremoti, che si verificarono nel corso del tempo. Tra i più devastanti ci fu quello del 1783. Con l’arrivo dei francesi nel 1807, l’iniziale ricostruzione venne interrotta. La parte conventuale, venne acquistata da privati, mentre la chiesa divenne sede parrocchiale.

I monaci Cistercensi e la Sambucina

La storia dell’abbazia della Sambucina racconta che essa fu Casa madre dell’ordine Cistercense nel Regno di Sicilia, capace di legare un angolo remoto del Meridione d’ Italia, alla grande storia del monachesimo europeo. Il monastero, divulgò l’architettura ogivale e con i suoi “magister”, diffuse tutte le conoscenze dell’ordine nel campo dell’architettura, costruendo chiese, monasteri e acquedotti.

Altare abbazia Sambucina

Nel periodo di massimo splendore del monastero, all’interno di esso, si raccolsero circa trecento monaci oltre ai conversi ed ebbe una libreria ricchissima. Infatti come casa madre dell’ordine, doveva provvedere ai bisogni religiosi e culturali, di cui necessitavano le sue filiazioni come: Corazzo (Cz) 1157, Nucaria 1168, Santo Spirito di Palermo 1172, Roccadia 1176, Santa Maria delle Terrate 1178, Ligno Crucis tra Acri e Corigliano 1183 , Archicenobio florense 1189.

Il monastero diventa centro religioso, culturale e artistico

Il monastero divenne presto un importante centro religioso, artistico e culturale. I monaci si adoperarono nell’applicare la regola di San Bernardo e ancora prima di San Benedetto “ora et labora”, bonificando campi paludosi, sviluppando un grandissimo “scriptorium”, dove si praticava la delicata copiatura dei codici. Lo stesso nome dell’abbazia, trae origine dal sambuco, pianta dalle cui bacche si ricavava l’inchiostro. I monaci, che utilizzavano come orologio il sole, oltre a svolgere lavori agricoli, si occupavano della coltivazione e  dello studio delle erbe mediche dall’effetto curativo. Eccellente era la lavorazione artistica del legno, oltre alla lavorazione del tufo, e anche la realizzazione di impianti idrici.

Luogo di meditazione per Gioacchino da Fiore

Loro per primi, portarono l’acqua corrente al monastero e poi giù fino in paese. Secondo quanto riportato dall’ economista cosentino Antonio Serra, il monastero sarebbe stato dotato anche di una flotta di piccolo cabotaggio in una stazione fluviale sul Crati, fiume attraverso il quale, era possibile raggiungere il mar Jonio per dirigersi a nord verso Taranto o a sud verso la Sicilia.  Ma la badia, era soprattutto un luogo di meditazione, ove soggiornò, con l’incarico di “ portinaio”, l’Abate Gioacchino da Fiore. “Di spirito profetico dotato” così definito da Dante Alighieri, nel Canto XII della Divina Commedia. La storia dell’abbazia ci riporta anche alla letteratura.

abbazia e Gioacchino Da Fiore
Gioacchino da Fiore

L’abate Luca Campano

 Proprio nel complesso badiale della Sambucina, fu abate Luca Campano dal 1192 al 1202.  Il suo intervento, diede una svolta allo sviluppo dell’Abbazia ricostruita dopo il terremoto del 1184, unitamente a tante altre chiese danneggiate nella valle del Crati. Nel corso dei secoli la fama del cenobio dilagò dappertutto e dalla cronistoria, si evince che ebbero ospitalità fra le sue mura regnanti, santi, principi, dotti, giuristi, artisti, vescovi, ed altri ancora. 

Cosa resta oggi della antica dell’antica Abbazia?

Oggi, visitando la struttura sacra, si respira una forte atmosfera di spiritualità e mistero, si avverte quasi una presenza provenire da un angolo in ombra. È quella di un monaco vestito di bianco, ultimo testimone del passato. La storia articolata del complesso abbaziale si riflette anche sulla sua architettura, frutto di ripetuti rimaneggiamenti. Tuttavia, si è accertato, che la pianta della chiesa presenta tutti i modelli costruttivi imposti da San Bernardo, e si richiama in modo particolare alla Chiesa di Fontenay in Borgogna, considerato il modello della più antica architettura cistercense. La struttura era a croce latina, con abside rettangolare, ancora esistente, a tre navate e cinque campate, la crociera i bracci e le tre navate, non avevano l’attuale soffitto a botte,  ma probabilmente piano.

Interno dell'abbazia della sambucina
Interno della chiesa dell’Abbazia del Sambucino

L’Abbazia ha un’architettura semplice

L’architettura cistercense, usava il “linguaggio” della semplicità e della razionalità dal forte valore simbolico  comunicando, attraverso  il rigore delle  linee geometriche, l’ordine perfetto creato da Dio. Cosi come l’assenza quasi totale delle decorazioni,  era finalizzata a non distogliere l’attenzione dei fedeli dalla preghiera, rispettando la massima di San Bernardo, secondo la quale nelle Chiese si entra per ascoltare non per vedere”. La pianta attuale, è il risultato dei restauri seicenteschi che seguirono al terremoto del 1569, che aveva provocato il crollo delle navate e del transetto destro. È apprezzabile il presbiterio rettangolare con coperture a vele ogivali e la crociera con l’arco a sesto acuto, di epoca tardo-romanica.

Portone abbazia Sambucina
Il portale d’ingresso della Sambucina

La Madonna del Sambuco

L’apparato pittorico, si palesa in una delle pareti dell’abside con un affresco  del  XV sec., raffigurante  la Madonna del Sambuco col bambino. Mentre, la parete destra della navata, mostra una tela dell’Assunta in gloria con angeli e apostoli collocabile a cavallo, tra il Cinquecento ed il Seicento.

Madonna Sambucina
La Madonna della Sambucina

Attribuita da alcuni a Luca Giordano, ma più probabilmente a Gaspare Vazano ( M.P. di Dario Guida,G. Leone). In sagrestia, si custodisce un capitello duecentesco in tufo ed un mobiletto in legno decorato ad intarsi. Opera settecentesca, dei rinomati ebanisti di Serra San Bruno.

Il campanile

Il campanile posto a sinistra, è stato rifatto alla fine del XIX sec. La facciata molto semplice, è caratterizzata dalla presenza di una finestra guelfa e dall’elegante portale. Di esso, si conserva, una piccola parte  del XII sec e maggiormente elementi relativi al rifacimento avvenuto nel 1600. Lo stesso è decorato con file di archi, con i corrispondenti spazi negativi arretrati per accentuare il chiaroscuro. L’arco ad ogiva della parte interna del portale, è sormontato da un arco a tutto sesto monumentale, arricchito con decorazioni geometriche. Ben conservato, risulta l’attiguo chiostro, cuore pulsante della vita del monastero.  

L’Abbazia della Sambucina in letteratura: Vincenzo Padula

Vincenzo Padula e abbazia
Vincenzo Padula

Non tutti sanno che Vincenzo Padula noto poeta e patriota calabrese scrisse nel 1842 la novella in versi  Il monastero di Sambucina. Si tratta di un poemetto ambientato nel monastero di Luzzi, in cui l’invenzione dello scrittore, narra della presenza femminile in abbazia facendo fremere, per la mescolanza di sacro e profano e per le numerose bizzarrie, il critico Francesco De Sanctis, che gridò allo scandalo: «Tutto questo è profanazione, troppa natura, troppo senso. E’ il poeta che penetra troppo nella sua concezione».

“O agresti solitudini, o pinete, o monti della Sila cosentina, che l’estrema reliquia possedete del Monastero della Sambucina, giovine io sono di piú mite ingegno, amo le Muse, e a meditar quì vegno.” Vincenzo Padula

( Fonti Flaviano Garritano/Vincenzo Napolillo/Luigi Bilotto)

Storia dell’Abbazia cistercense di Santa Maria della Sambucina ultima modifica: 2020-11-18T06:43:07+01:00 da Paola Morano

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