Una comprovata sinergia fra il Tocilizumab (farmaco utilizzato per curare l’artrite reumatoide) e la vitamina D, aiuterebbe i pazienti affetti da Covid-19. Lo sostengono i dottori Giovanni Misasi e Teresa Pandolfi, rappresentanti dell’Associazione scientifica biologi senza frontiere (Asbsf), di Cosenza.
In una lettera inviata al direttore sanitario dell’Asp cosentina, i due medici evidenziano come i pazienti con artrite reumatoide, trattati con il Tocilizumab, mostrino una risposta migliore quando hanno una sufficiente quantità sierica di vitamina D. Nell’affermarlo, fanno riferimento a un articolo scientifico apparso su US National Library of Medicine National Institutes of Health, la più grande biblioteca medica del mondo.
Covid-19: testare la quantità sierica della vitamina D nei pazienti contagiati
«Poiché all’Annunziata di Cosenza si sta sperimentando il Tocilizumab per il Covid-19 – scrivono i dottori – ci siamo permessi di suggerire agli operatori sanitari di testare la quantità sierica della vitamina D nei pazienti che hanno contratto il virus. L’obiettivo è quello di migliorare l’effetto antinfiammatorio del farmaco. Tocilizumab e calcitriolo – spiegano – sopprimono la produzione di interleuchina 17, molto attiva negli stati infiammatori, migliorando il decorso clinico del paziente».
Covid-19: il calcitriolo per prevenire i disturbi infiammatori
Da tempo, è noto che il calcitriolo, ovvero la forma attiva della vitamina D, sia in grado di promuovere risposte anti-infiammatorie in diverse tipologie cellulari. Per questo ne viene consigliato un impiego potenziale nella prevenzione e/o nel trattamento di questi disturbi.
«Studi epidemiologici – continuano i due biologi – suggeriscono come molte malattie a eziologia autoimmunitaria e alcune infiammatorie croniche comuni, come l’artrite reumatoide, siano associate a un deficit vitaminico D. Gli stessi studi, indicano inoltre che alcuni metaboliti di questa vitamina, come il calcitriolo, possano rappresentare una strategia alternativa nella prevenzione e/o nel trattamento dell’artrite reumatoide. Ad esempio, in aggiunta alle terapie farmacologiche per essa disponibili».
Cos’è il Tocilizumab?
Il Tocilizumab è un anticorpo monoclonale che blocca gli effetti dell’interleuchina-6 (proteina coinvolta nella risposta infiammatoria), approvato per il trattamento dell’artrite reumatoide. La sua somministrazione non ha quindi azione diretta sul virus. Ha invece una funzione di supporto per il controllo del processo infiammatorio che consegue all’infezione grave.
Su questo farmaco era già in corso uno studio clinico di fase due e, lo scorso 3 aprile, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha autorizzato uno studio clinico di fase 3 (l’ultimo stadio della sperimentazione). Lo stesso, che sarà condotto in diverse sedi italiane, dovrebbe concludersi nella metà di maggio. Lo studio nasce dall’esito positivo di una ricerca avviata in Cina, secondo cui il Tocilizumab ha prodotto incoraggianti benefici in 21 pazienti affetti da polmonite grave dovuta a Covid-19. Per quanto ci riguarda da vicino, è di pochi giorni fa la notizia di tre persone colpite dal virus dimesse dall’ospedale di Cosenza dopo essere state trattate con il Tocilizumab.
Nessuno studio clinico
Non esistono ancora studi clinici che abbiano dimostrato l’efficacia di una supplementazione di vitamina D contro le complicanze da Coronavirus. L’idea che si sta portando avanti è dunque che essa possa essere utile alle persone che sono più a rischio di contagio da Covid-19 o di complicanze. Oltre al fatto che una carenza di vitamina D possa rappresentare un fattore di rischio.
Le sperimentazioni in Italia
Non essendo disponibili, al momento, farmaci specifici per il trattamento del Coronavirus, non resta che rispettare tutte le misure necessarie per prevenirne il contagio. L’unica speranza rimane un vaccino che possa sconfiggerlo.
Nel frattempo, in Italia, come in molti altri Paesi, sono numerose le sperimentazioni di farmaci che potrebbero rivelarsi efficaci. Oltre al Tocilizumab, l’attenzione è rivolta a diversi antivirali già esistenti. Ma anche ad antimalarici e a medicinali impiegati nelle malattie autoimmuni. Una delle terapie in corso di sperimentazione, e già applicate in alcuni ospedali italiani, riguarda la trasfusione di plasma da pazienti guariti. Dal 24 marzo, poi, all’ospedale di Livorno si sta sperimentando il Ruxolitinib, farmaco già impiegato in ambito ematologico. In questi ultimi giorni, fra gli esperti, si sta prendendo in seria considerazione l’Eparina, un fluidificante del sangue a basso peso molecolare. Pare che questa, somministrata a pazienti con gravi sintomi di Covid-19, possa aiutare non solo a scongiurare complicanze come trombosi o embolie polmonari, ma addirittura intrappolare il virus e sconfiggerlo.
(Foto: Associazione scientifica biologi senza frontiere)