Viaggiare alla scoperta dei sapori calabresi, è una sorta di slalom culinario, che ripercorre il piacevole gusto di una cucina basata sulla tradizione. Citandone solo alcuni dei prodotti, forse tra i più conosciuti troviamo, la Cipolla Rossa di Tropea, acclamata da grandi chef e richiesta addirittura dalle multinazionali che operano nel settore alimentare. Poi ci sono le Clementine, onore e vanto soprattutto della piana di Sibari. Entrambi prodotti, presenti nei mercati ortofrutticoli e nei supermercati di tutta Italia.
Ma uno dei prodotti simbolo della regione è il peperoncino. E’ straordinario pensare quanto esso, sia stato complice di un eccellente marinaio di fine quattrocento, Cristoforo Colombo. Quanto fascino abbia avuto la sua storia… Notevole prodotto, venuto da un altro continente per poi integrarsi nei piatti italiani durante l’età moderna. Profondamente penetrato nelle culture locali diventando definitivamente un elemento principe nell’Ottocento. Oggi il peperoncino è assurto a simbolo della cucina calabrese.
Antropologia dell’arte culinaria calabrese
Bisogna ammettere che per noi calabresi, il rapporto con il cibo è stato da sempre un legame molto forte. Esso ha generato una preoccupazione direi quasi atavica. Non a caso, le prime due domande che una madre calabrese rivolge al proprio figlio fuori casa sono: se ha mangiato, e cosa ha mangiato. Ciò denota un passato, non molto lontano, in cui la scarsezza di cibo era un incubo ricorrente e l’abbondanza era un autentico miraggio. La Calabria vanta da sempre, una cultura del cibo variegata, ovvero, ciascun territorio conserva tradizioni locali radicate, ma comunque ricche di contaminazioni con altre culture. Resta superfluo sottolineare che, accanto alla trasformazione dei prodotti del mare e della terra, c’è poi la fase della cucina vera e propria. Qui entrano in campo mamme, nonne e zie, custodi di saperi e tradizioni secolari, dove la dedizione di queste donne è davvero commovente.
Come nascono i prodotti
In Calabria, quando si parla di cibo e di cucina, è utile distinguere due momenti. La fase produttiva, quella propriamente stretta alle conserve e la fase di trasformazione legata a salumi e formaggi. Una grandiosa festa sociale in cui gruppi familiari in collaborazione di amici, si ritrovano a preparare con cura e pazienza i vasetti con le conserve alimentari. Succulenti capolavori culinari che accompagnano i piatti a tavola nei lunghi mesi autunnali e invernali. Infatti vantiamo marmellate e confetture di ogni genere. Clementine, bergamotto, ciliegie, pesche, albicocche, arance, fragole, fichi, amarene, cipolle… E poi il liquore al cedro, e altri ancora col bergamotto, alla liquirizia, e come non citare qualche capolavoro di limoncello.
Rientrano a pieno titolo nella fase produttiva le laboriose riunioni per fare le conserve dei pomodori. La salsa rimane una sorta di culto irrinunciabile, per migliaia di famiglie meridionali. Non meno importanti sono anche le conserve di olive, peperoni cruschi, zucchine e melanzane sott’olio. Sapori per i quali vale la pena di fare un viaggio in Calabria. Per gli amanti della carne, nella nostra tradizione, è da includere anche la macellazione del maiale con gli insaccati e prodotti affini. Tra i vari segreti culinari uno da annoverare è quello della ‘nduja, tramandato da generazione in generazione, prodotta nel paese di Spilinga in provincia di Vibo Valentia e altri centri nella valle del Mesima. Dopotutto se la ‘nduja ha quel gusto unico, è perché qualcuno ne conosce il segreto del dosaggio e della qualità di peperoncino da scegliere, ovviamente, precedentemente essiccato e macinato.
Paese che vai, sapori che trovi
Guai a credere che la Calabria, sia solo ‘nduja e peperoncino. Spostandoci nelle zone costiere, troviamo le usanze marinare, ovvero quelle delle alici conservate sotto sale con peperoncino e il tonno sott’olio cotto a vapore, vere prelibatezze. Viaggiando per le montagne e le vallate del Pollino, della Sila, dell’Aspromonte, come pure tra le Serre vibonesi o nel Marchesato crotonese, risiedono dei campionissimi del formaggio. È qui che meglio si incontra, l’artigianalità casearia, dove comune è la produttività di caciocavallo, formaggio pecorino e caprino, ed ancora ricotte e mozzarelle sapori di eccelsa qualità. E dopo aver elencato prodotti salati non possono mancare i tipici dolci regionali. Già solo argomentando sui dolci tipici delle festività pasquali e natalizie ci sarebbe tanto da dedicare. Raccontare le varianti locali di un dolce qualsiasi è un’impresa bella e ardua, poiché si tratta veramente di mille varietà di impasto e di combinazioni di ingredienti che cambiano da un borgo a borgo.
Si pensi ai colorati biscotti al miele, dalle forme bizzarre, detti mostaccioli (ma anche mastazzoli, mustazzoli …) che nelle tradizioni di Soriano Calabro raggiungono vette creative altissime, riempendo di dolcezza le feste di Natale, le feste patronali e non solo. Oppure basti pensare, alla qualità diffusa dei maestri del torrone, tra Bagnara Calabra e Taurianova. O ancora, si consideri la straordinaria storia del gelato denominato Tartufo di Pizzo Calabro, gioia purissima per i palati esigenti. Accanto ai dolci un buon bicchiere di vino è d’obbligo, magari un passito, un Magliocco DOP oppure in Cirò. Le eccellenze qui non mancano, anzi preme sottolineare con quanta cura i viticoltori portano avanti, questo amore sbocciato nei secoli e meravigliosamente invecchiato, quasi un miracolo di pazienza, tecnica e passione. Ma di questo essendo un argomento molto vasto, ne parleremo con cura in un’altra sezione, magari interamente dedicata ai vini calabresi.
Foto/galleria Giusy De Iacovo